Lo stop forzato della riforma delle banche popolari, ferma al palo del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale, vedrà la fine probabilmente nei primi mesi del 2018. Nel frattempo la Banca Popolare di Bari, il Gruppo guidato dal presidente Marco Jacobini, ha proseguito lo studio della nuova bozza di Statuto per la necessaria trasformazione in società per azioni.
Rimangono le difficoltà nel determinare un prezzo di vendita delle azioni capace di soddisfare i circa 70 mila soci, che dal 2016 hanno visto diminuire il valore del capitale investito, tendenza ribadita anche dalla quotazione sul borsino Hi-Mtf. Ma a settembre è stato dato il via alla cartolarizzazione dei mutui ipotecari residenziali, per una cifra intorno ai 600 milioni di euro ed è stato siglato un accordo con Cerved per la gestione delle sofferenze e di 1,1 miliardi di euro di inadempienze probabili.
Una serie di azioni che vanno nella direzione dell’adeguamento al futuro assetto societario richiesto dalla riforma del credito cooperativo e del risanamento dei conti del Gruppo. Una situazione finanziaria complessa che si è determinata nel contesto generale di difficoltà del sistema bancario nazionale e in conseguenza dell’incorporazione in BPB di Banca Tercas e Banca Caripe, perfezionata a metà del 2016, che ha salvato l’ex Cassa di Risparmio di Teramo dal fallimento.
A questo si è aggiunta l’indisponibilità del sostegno da parte del Fondo Atlante nell’aumento di capitale per alleggerire il bilancio dell’istituto dai crediti deteriorati. Sostegno che invece è stato dato alla Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Tutto considerato, però, con circa 3.500 dipendenti e le 362 filiali presenti in 13 regioni, in prevalenza al Sud ma anche nel Centro e Nord Italia, la Popolare di Bari si è consolidata come principale banca del Mezzogiorno, oltre che come vera e propria “istituzione†territoriale fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1960.