I nodi da sciogliere, pena la continuità delle aziende
Non se ne parla moltissimo, ma è davvero un’urgenza che interessa l’intero sistema-Paese. Perché riguarda l’85% delle nostre imprese, il 65% delle quali a fatturare oltre 20 milioni di euro. Cioè, la spina dorsale della nostra economia, che garantisce la tenuta- anche occupazionale e sociale – delle comunità e dei territori. In un contesto, però, di inverno demografico, di piramide d’età quasi rovesciata e di fortissima emigrazione, tanto da far mancare all’appello 3 milioni di under 34. Se consideriamo che quasi un quarto delle imprese familiari è guidato da over 70, i conti sono presto fatti: bisogna provvedere al ricambio generazionale, possibilmente presto e bene.
Andiamo dunque a vedere quali gli errori da non fare e quale la via maestra da prendere. In base agli ultimi dati dell’Osservatorio AUB e del recente studio realizzato da Deloitte, che abbiamo approfondito assieme allo Studio legale Borrelli. Partner de IlSole24Ore e tra i migliori professional Forbes 2021 e 2022, che da anni assiste pmi, società quotate ed enti – pubblici e privati.
Nonostante le seconde e terze generazioni manifestino delle ottime capacità, e nonostante la maggioranza dei leader attuali dichiari la volontà che l’azienda rimanga di proprietà della famiglia, il meccanismo è come inceppato. Poche imprese familiari hanno formalizzato un Consiglio di Amministrazione, solo una su dieci ha predisposto un piano di passaggio generazionale e solo due su dieci stanno pensando di prepararne uno. Nel frattempo, a sopravvivere con la seconda generazione è solo un terzo di esse e, con la terza, il 10-15%.
Gli errori più diffusi? Ce li illustra l’avvocato Paolo Borrelli:
- confondere l’appartenenza alla famiglia proprietaria con la competenza;
- di conseguenza, inserire nei CdA soltanto i membri di famiglia – mischiando i tavoli familiari e gestionali e dunque i ruoli;
- non formare per tempo le generazioni successive o limitare la loro creatività e vis imprenditoriale;
- prendere le decisioni in base al “patrimonio emotivo” (valori e affetto) e non a logiche economiche oggettive;
- considerare il passaggio come un evento (principalmente, di successione traumatica e d’obbligo in caso di decesso del leader familiare in carica) e non come un processo e dunque un piano da predisporre per tempo, in grado di gestire percorsi e imprevisti (situazioni di crisi comprese).
Pertanto, pensare di fare da soli invece di affidare il processo a un professionista che – in base alla visione unitaria così acquisita – possa accompagnare famiglia e azienda verso la futura solidità.
Nel frattempo, le imprese familiari con le migliori performance economico-finanziarie sono anche quelle ad aver aperto i propri CdA a giovani, donne e professionisti esterni alla famiglia proprietaria. Riducendo sia la presenza dei membri, sia le presidenze Senior familiari. E coinvolgendo come azionisti di minoranza figli e nipoti con altre aspirazioni o non interessati alla futura leadership aziendale.
In poche parole, un diverso modello di governance. Nel Paese più anziano d’Europa, a dir poco strategico.