Nel mare magnum delle strategie basate sull’analisi fondamentale una delle più semplici e conosciute è quella della valutazione del rapporto prezzo/utili (p/e, price/earnings)
Nel mare magnum delle strategie basate sull’analisi fondamentale una delle più semplici e conosciute è quella della valutazione del rapporto prezzo/utili (p/e, price/earnings). Questo rapporto consente all’investitore di valutare velocemente se un’azione evidenzia una quotazione eccessivamente elevata rispetto al suo fair value, oppure se è sottovalutata con potenziali margini di upside. Il prezzo di un’azione non è altro che il valore, riportato ad oggi con opportuni tassi di sconto, degli utili generati da quell’azienda da qui agli anni a venire.
Il p/e estende il campo d’osservazione a un futuro inconoscibile. Il calcolo del rapporto spesso avviene così in altro modo. Ad esempio il rapporto p/u si può valutare con una stima degli utili di fine anno. Ma di p/u ce ne sono molti: utile netto, utile operativo, una media a 10 anni dei due parametri, il rapporto aggiustato per il ciclo. In quest’ultimo caso si confronta con l’indice di riferimento (ad esempio l’S&P500 per il mercato americano) con gli utili, riportati ad oggi, degli ultimi 10 anni.
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Ad oggi, facendo un’analisi delle rilevazioni di Plus24 sui dati S&P sui p/u calcolati sulla base degli utili fino al secondo trimestre 2013 e di quelli stimati al quarto trimestre 2013, confrontati con le medie storiche, non emergono segnali di sopravvalutazione per l’indice azionario americano S&P500.
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Un’indicazione diversa arriva solo dal rapporto p/u aggiustato per il ciclo, ma c’è una spiegazione. Infatti, negli ultimi 10 anni la crisi dei mutui subprime ha schiacciato pesantemente i profitti del triennio 2008-2010, facendo aumentare di conseguenza il rapporto p/u che si trascina in questa media.